Mediatore Penale

Il Luglio del 2017 vedeva il mio ingresso ufficiale nel mondo della mediazione penale. Dopo anni di carriera in polizia come Ispettore con attività di indagine nel settore del mondo di internet, e in particolare nella lotta alla pedofilia e pedopornografia online, questo avrebbe rappresentato una lenta ma inesorabile svolta. Per la natura stessa del mio precedente lavoro, lasciato per anzianità di servizio, avevo un'ottica tutta dedicata alla Giustizia Retributiva ovvero a quella giustizia che noi tutti conosciamo e cioè "al reato c’è una sanzione e poi una pena da scontare". Tutti noi siamo bene o male imprintati su questo modo di vedere. Le critiche sono ben note e consolidate e vertono sulla lentezza della giustizia, la mancanza della certezza della pena, l’eccessiva mitezza della stessa e, sempre secondo noi, i continui errori di giudizio e valutazione dei giudici.

Sull’onda di queste valutazioni anche gli operatori di polizia tendono a viaggiare giudicando a volte come “non riconosciuti” gli sforzi e l’impegno profusi e i rischi corsi per assicurare i vari responsabili di reato che di turno rincorri per tutta Italia e, nel caso di internet, anche in giro per il mondo.

L’inversione di rotta arriva con la “Giustizia Riparativa”. Un processo che è iniziato lento ma inesorabile che mi trova ora completamente convinto della sua correttezza e della sua forza nella risoluzione di conflitti che sorgono ogni giorno fra reo e vittima. È strano che proprio la figura giuridica della mediazione penale, un tassello del più ampio spazio che il legislatore dà alla messa alla prova, abbia in sè quello che io chiamo “il senso del tutto”. La filosofia della classica Giustizia Retributiva è sostanzialmente quello dell’esclusione. "Hai sbagliato: sei fuori! Noi vogliamo questo!". Le nostre paure ci guidano verso questa rapida e facile soluzione. Ma poi il "sei fuori" (ovvero dentro in carcere) si traduce in un mese, tre mesi, un anno anche, perchè no, in vari anni, ma…non sono mai abbastanza, perchè io di te (che hai sbagliato) non ne voglio più sentire…voglio stare tranquillo! Tutto questo è voluto fortemente - senza alcun dubbio o perplessità - salvo quando poi tocca a noi compiere lo sbaglio. A quel punto abbiamo mille scuse: "...è stata la cosa di un momento…", "eh si, mi ha fatto arrabbiare, volevo vedere te…e poi che sarà stato mai…", "si, un pò ho sbagliato, ma come siete esagerati". Queste frasi sappiamo bene che non sono inventate, basta sentire le dichiarazioni di quei ragazzi che hanno portato Carolina Picchio a gettarsi dalla finestra. Nel migliore dei casi…"mi sento un pò in colpa, si, ma non esageriamo".

La Giustizia Riparativa vede la luce con l’art.28 del processo penale minorile [1] e per la prima volta viene intravista una nuova strada, ovvero quella della conciliazione con la persona offesa e il reintegro del soggetto nella società in una posizione nuova quasi “rigenerata”. L’esperienza dimostra, nel caso della Giustizia Riparativa, il bassissimo caso di recidiva rispetto al classico percorso della Giustizia Retributiva. La Giustizia Riparativa, tuttavia, trova i suoi limiti applicativi nell’art.168 bis del Codice Penale. Ciò significa che vi è un chiaro e netto perimetro tecnico-giuridico delineato dalla stessa Giustizia Retributiva che non può essere valicato. Tuttavia, forse, il limite maggiore sta dentro le nostre coscienze che non accettano la strada del perdono come una risorsa individuale e collettiva. Come dare torto! Però, è proprio in questa difficoltà che abbiamo grandi spazi decisionali di crescita.


[1]Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448 e  legge 67 nel 2014 per gli adulti/ maggiorenni.